top of page

Segnali di dittatura

  • Fabrizio Pulvirenti
  • 19 set 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

A prescindere dalle ideologie – che, non è chiaro se esistono ancora – ci sono fatti che dovrebbero impensierire ogni cittadino di uno Stato democratico.

In questi ultimissimi giorni abbiamo assistito e, per i più volenterosi, letto sui giornali due di questi fatti che, a mio avviso, sono strettamente collegati e, entrambi, rappresentano il malessere della nostra democrazia. Da una parte, infatti, abbiamo assistito e studiato le vicende legate alla indagine Consip con il suo elemento di punta, Woodcock, e, dall’altra, la candidatura all’elezione (praticamente “blindata”) a portavoce del M5s di Luigi Di Maio. Trovo poco interessante, adesso, dibattere sullo spessore, peraltro inesistente, di questo ragazzotto che pretende di guidare il Paese; lo è certamente di più analizzare le anomalie più recenti cui stiamo assistendo.

Che sia vero oppure no, che ci siano o meno responsabilità di pezzi del governo Renzi (anzi, a maggior ragione se ci fossero), l’inchiesta Consip è stata una spallata alle istituzioni che potrebbe rivelarsi la solita inchiesta-bufala di Woodcock alle quali, ormai da lungo tempo, siamo purtroppo abituati; inchiesta che ha avuto una amplificazione mediatica, ottimamente gestita, in uno dei momenti più importanti del governo Renzi, immediatamente prima della consultazione referendaria. È stato un caso? Non lo so, ma il sospetto si insinua; soprattutto se poi, a distanza di mesi, si scopre che alcuni dei pilastri fondamentali sui quali tutta la teoria è stata costruita, risulta corroso da “errori” più o meno volontari. Resta il fatto che “la spallata” c’è stata ed ha prodotto (o ha contribuito a produrre) l’effetto desiderato: allontanare Matteo Renzi dalle istituzioni.

Le inchieste, per carità, sono tutte legittime; ci mancherebbe. L’utilizzo di queste inchieste, la divulgazione acida delle mezze verità provenienti da sussurri e veline, è qualcosa che avvelena la democrazia, prima ancora che la politica. La cultura del sospetto, tanto ben sostenuta e propagandata da Piercamillo Davigo, è il mezzo migliore per consegnare il Paese al totalitarismo (non importa di quale colore, ammesso che esistano ancora oggi i colori) che fa il paio con lo Stato di polizia nel quale essere oggetto di indagine equivale automaticamente a essere colpevole. Del resto è lo stesso Davigo che sostiene che un indagato assolto è solo un delinquente che l’ha fatta franca.

Ieri mattina, in una bella carrellata di insuccessi inanellati dal giudice anglo-napoletano, Antonucci su “Il Foglio”, a supporto dei bellissimi servizi di Cerasa e Ferrara, ha elencato, una dietro l’altra, le vicende di cui Woodcock si è occupato ed ha intelligentemente messo in luce un algoritmo deviato di cui si avvale certa magistratura: aprire le inchieste per dimostrare un teorema piuttosto che un reato. Se poi i teoremi sono quelli di cui si avvalgono certe rabbiose forze politiche, allora tali teoremi e le susseguenti inchieste ricevono la benedizione delle testate che tale rabbia populista sembrano alimentare piuttosto che cercare di orientare e, ovviamente, il supporto degli arrabbiati. Ma, del resto, per chi per anni ha costruito il proprio consenso esclusivamente sulla dimostrazione della corruzione della classe politica (tutta, senza eccezioni; anzi, con una sola eccezione: la propria) queste inchieste sono occasioni ghiotte per alimentare la rabbia. Ma a cosa porta la rabbia?

Ieri sera Giampaolo Pansa, ospite della Gruber, ha lanciato l’inquietante allarme di una possibile guerra civile alimentata dall’odio, ma, forse, dalla sua posizione privilegiata, Pansa non si è accorto che la guerra civile è già iniziata: è iniziata tra le istituzioni prima ancora che tra la gente e, prima o poi, quelle lotte cui assistiamo, nonostante siano mitigate dai toni morbidi, potrebbero portare a una “vera” guerra civile fomentata proprio da quelle forze politiche, M5s prima di tutti, che non è affatto vero che hanno fatto da contenitore calmierante per la rabbia del popolo; semmai utilizzano e incanalano quella rabbia per consegnare il Parlamento al totalitarismo internettiano teorizzato da Casaleggio sr. e abbracciato da Grillo e dal popolo pentastellato.

Sempre ieri sera ho avuto modo di ascoltare le dichiarazioni rese in conferenza stampa da Luigi Di Maio relativamente alla rinuncia al trattamento pensionistico che i parlamentari percepiranno, raggiunta l’età, in ragione della contribuzione versata e, subito dopo, ho letto la lista degli otto candidati alla guida del M5s. Uno è (ovviamente) Luigi Di Maio; gli altri sono emeriti sconosciuti messi lì affinché non si possa dire che l’elezione del delfino di Grillo e Casaleggio sia stata un’elezione “bulgara” (per quanto improbabile sarebbe interessante vedere cosa succederebbe se una anonima figura riempitiva qualsiasi dovesse ricevere anche un solo voto in più rispetto a Di Maio; ci sarebbe certamente da ridere e verrebbe fuori il solito “fidatevi di me” di Grillo). Il discorso reso in conferenza stampa da Di Maio, iniziato sull’argomento pensioni, è scivolato negli annunci di governo ed è stato un crescendo di slogan populisti (un tempo si diceva “qualunquisti”) e di minacce alla classe politica che, purtroppo, solleticano l’istinto di rivalsa della gente comune. Sia chiaro: esistono, purtroppo e ancora, ingiustizie e disparità nel nostro Sistema-Paese che è legittimo contestare e correggere, ma non è possibile orientare l’intera azione di governo solo su questo; non è possibile promettere il “reddito di cittadinanza” in cambio del voto (di scambio?) immaginando di finanziarlo (udite, udite!) con la ripresa dell’economia indotta da tale reddito che dovrebbe, contemporaneamente, servire per abolire la riforma pensionistica voluta da Elsa Fornero; a dirlo è Carla Ruocco, senatrice del M5s. Lasciamo perdere! E lasciamo anche perdere di capire perché gli ottanta euro strutturali voluti da Renzi sarebbero una “mancia elettorale” mentre questo fantomatico (e irrealizzabile) reddito di cittadinanza non lo sia.

Ora, alla tendenza al totalitarismo giudiziario, iconicamente rappresentato da Woodcock, allo stato di polizia corteggiato da Davigo, alla rabbia (spesso giusta) della gente comune, fanno da contraltare le rabbiose dichiarazioni di Luigi Di Maio che, tuttavia, non servono a risolvere i problemi del Paese; piuttosto servono, di concerto con l’azione di certa magistratura, a indurre nel popolo l’accettazione supina di un sistema monocratico e totalitario teso, più che al benessere collettivo, alla affermazione della dittatura addolcita dai click.

Su questa base la guerra civile ipotizzata da Pansa è tutt’altro che un’ipotesi remota.


 
 
 

Comments


Who's Behind The Blog
Fabrizio Pulvirenti
Search By Tags
Follow "THIS JUST IN"
bottom of page