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Democrazia “diretta” (da chi?): la forza della propaganda.

Credo che, in questo particolare momento storico, si stiano fronteggiando (anche) in Italia due visioni tra di loro opposte di democrazia. Da una parte la “democrazia rappresentativa” (quella parlamentare) e, dall’altra parte, la “democrazia diretta” (quella dei click). I due sistemi non sono per nulla compatibili e non hanno alcun punto in comune se non la buona fede di chi rispettivamente le sostiene.

La “democrazia rappresentativa”, è chiaro, va ammodernata, va resa fruibile ed elastica e, di certo, vanno posti alcuni “paletti” che ne possano limitare la deriva di potere a fini distorti; ma va difesa. Va difesa da chi, sostenendo la “democrazia diretta”, la vorrebbe logorare, giorno dopo giorno, per sostituirla con la democrazia dell’istinto, con la democrazia del rancore, con la democrazia del click. E qui non si discute la buona fede dei sostenitori di quest’ultimo criterio, quello è fuori di dubbio; lo stesso non si può dire per chi la “dirige” o, per meglio dire, la manipola.

Le recenti vicende sulla questione sicurezza della piattaforma Rousseau dimostrano, a parte la mancanza di tutela dei dati (quella, in termini assoluti, pare non ci sia da nessuna parte), l’estrema manovrabilità del sistema da parte di chi quel sistema dirige. È, infatti, impensabile che chi “manovra” abilmente i propri rappresentanti istituzionali non lo faccia anche coi dati; così come è impensabile che i click di cinquecento o seicento persone possano dirsi rappresentativi di una intera popolazione, tanto da definire il sistema “democratico”. La “democrazia diretta”, pertanto, potrebbe trasformarsi in qualcosa di veramente “diretto” ma nel senso di “manovrato”; un incubo per la società!

Che i “manovratori” dei rappresentanti istituzionali dei 5 stelle siano remoti, che il “telecomando” sia nelle mani di soggetti apparentemente estranei alla vita politica, lo dimostrano numerosi casi dei quali, forse, quello paradigmatico è il governo della città di Roma i cui cittadini subiscono sia le scelte che le “non-scelte” della sindaca Raggi teleguidata, eterodiretta da Grillo e da Casaleggio. Del resto, all’inizio della attuale legislatura, i senatori dei 5 stelle erano cinquanta ma, nel corso di questi anni, ben venti hanno tolto la casacca pentastellata; e non l’hanno fatto né per opportunità, né per scissioni politiche; sono andati via nel momento in cui hanno compreso di non avere piena libertà di mandato. Ce lo racconta il senatore Luigi Zanda nell’intervista rilasciata a David Allegranti e pubblicata su “il Foglio” del 18 agosto.

La “libertà di mandato”, in ultima analisi, è ciò che “garantisce” l’autonomia del parlamentare che risponde delle sue scelte solo e soltanto ai propri elettori. Se, invece, il parlamentare non è libero nelle proprie scelte, se la sua preferenza e la conseguente elezione che ne è derivata è frutto di selezioni non sempre perfettamente trasparenti (ricordate il caso Genova?) cade tutta l’impalcatura del sistema democratico che inesorabilmente si trasforma in una oligarchia di potere, in un duopolio nel caso dei 5 stelle, che manovra i propri rappresentanti a prescindere da ciò che la loro base elettorale avrebbe desiderato. Ricordiamo, giusto per rinfrescare la memoria a chi legge, l’opposizione all’abolizione del reato di immigrazione clandestina (fortemente voluto dalla base grillina), la questione delle unioni civili e, da ultimo, le posizioni sullo “Ius Soli”, tutte scelte “imposte” dall’alto per freddi calcoli elettorali. Concedere deroghe di democrazia “diretta” significa concedere deroghe di potere (sostanzialmente illimitato) e piena fiducia a coloro che, in fin dei conti, gestiscono e manovrano senatori, deputati nazionali e regionali, presidenti di regioni, sindaci e consiglieri comunali.

Il disegno di Grillo e di Casaleggio mi pare sia piuttosto chiaro. Resta da capire come mai i loro elettori non si rendano conto di questo scenario orwelliano nel quale si rischia di precipitare. La risposta, da Goebbels a Casaleggio, è sempre la stessa: la propaganda!

Elaborare slogan semplici da ricordare, che possano irritare le folle e farli urlare da persone apparentemente affidabili è una strategia che sembra funzionare. Ho visto recentemente la registrazione di un video di propaganda elettorale in occasione di un comizio pubblico nel quale Alessandro Di Battista, volto notissimo del Movimento 5 stelle, ha esordito con il racconto della restituzione di buona parte del suo stipendio da parlamentare (della quale, ovviamente, non ha fornito alcuna prova); naturalmente questa apertura consente di stabilire un clima di comprensione, se non di complicità, con chi recita la parte del “duro e puro”, meglio se ha una faccia giovane e pulita. Dal clima di comprensione e complicità al messaggio che tutto ciò che il Movimento si propone di fare è nell’esclusivo interesse dei cittadini (e questo è tutto da dimostrare considerati alcuni precedenti; vedi Bagheria, vedi Licata, ecc.) il passo è piuttosto breve.

Non ci vuole particolare intuito per comprendere questo disegno, ma ci vuole, da parte di chi lo subisce, il coraggio della ribellione, il coraggio del disconoscimento, il coraggio della presa di coscienza perché, per la salvezza di tutti noi, non c’è bisogno di “lasciarli provare” in quanto la deriva autoritaria è proprio lì, dietro l’angolo e perdere oggi la democrazia rappresentativa equivale a perdere la libertà.

Pensiamoci!


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Fabrizio Pulvirenti
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